giovedì 30 dicembre 2010

arrivederci, 2010 ciao

se c'è una oosa che ho capito della vita (e sono ben poche le cose che ho capito della vita) è che capodanno non vuol dire nulla: le cose iniziano e finiscono seguendo regole misteriose, tutti noi abbiamo ritmi e fasi che seguono calendari molto differenti.

quest'anno però sento una frenesia quasi nevrotica che mi spinge a desiderare di cambiare completamente le cose al piu' presto, e il primo di gennaio, che poi è dopodomani, ben si presta a ricoprire il ruolo di primo giorno della mia nuova vita.

a settembre mi sono trasferita in una nuova città, in un nuovo paese.
questi ultimi mesi non sono stati non proprio leggerissimi, principalmente perchè trasferirsi in un posto nuovo non è mai facile, e farlo con l'idea di fermarsi a lungo è ancora piu' difficile. ovviamente non ho idea di come andrà a finire questa esperienza, concetto che ispira terrore e speranza, allo stesso tempo.
so solo che devo cambiare. ovviamente si cambia sempre, e tutto sommato sono abbastanza fiera della persona che sono diventata, anche perchè sono consapevole di essermi sbattuta non poco per arrivare qui.

solo che non mi basta. vedo benissimo i miei errori, ma essendo legati a difetti e abitudini che sono una conseguenza di mille cose avvenute nei secoli, se voglio migliorare la mia condizione esistenziale, devo sbattermi molto ma molto di piu'.

devo rinunciare ad alcune cose che mi fanno falsamente felice e sconfiggere le mie mille paranoie per poter finalemente fare le cose che penso di fare da tempo. fatto sta che sono piu' che pronta a lasciarmi alle spalle quest'anno che è stato si pieno ed intenso, ma anche molto, molto faticoso. diciamo che sono un pò meno pronta ad affrontare i cambiamenti che voglio fare e gli strascichi delle mie decisioni passate.

non sarà facile lo so, devo soddirere se posso, si muore un pò per poter vivere, insomma.

venerdì 24 dicembre 2010

home.

il suono delle sirene una volta ero lo stesso che annunciava l'arrivo della bombe dal cielo, non che io abbia mai assistito di persona a un raid aereo. da quando non abito piu' qui l'hanno cambiato: ora mentre la città affonda, sembra che gli alieni siano arrivati ad occuparsene di persona.

stanotte è natale e io continuo ad essere ebrea, quindi niente cene, alberi o regali. chiusi in bagno ci sono due cuccioli di cane molto carini che mi hanno permesso di sopravvivere ad una soporifera settimana isolana senza uccidere nessuno, a partire da me stessa. le urla dei miei genitori sono forse il motivo per cui non posso vivere qui, probabilmente sono anche la ragione per cui io non urlo (quasi) mai e considero l'insulto un'arma diplomatica molto potente.

ogni volta che varco le soglie di questo ampio appartamento in centro mi chiedo se esiste anche solo una minima possibilità che il nel mio futuro ci sia una casetta semplice, di gusto scandinavo, senza una televisione, dove le persone si piacciono a vicenda in modo sano e genuino. ho smesso di credere al mulino bianco molto tempo fa, ma questo non vuol dire che io abbia smesso di desiderare di essere il contrario dei miei genitori, almeno in un paio di fondamentali frangenti.

poi ci sono momenti in cui smettiamo per pochi attimi di essere incazzati, bipolari, tristi e sperduti, momenti in cui ci capiamo come solo in famiglia ci si puo' capire, e questi momenti sono in realtà i piu' dolorosi perchè mi ricordano quello che a cui stiamo noi tutti rinunciando a causa dei nostri futili problemi.

per il resto situazioni amicali precarie e bucherellate dalla lontananza cronica, conversazioni di cortesia con vecchi compagni del liceo (dio, quanto odio le conversazioni di cortesia) e la solita malinconia inquieta che sento di condividere con tutti i miei coetanei (poveri noi, poveri loro, povera me, etc.).

mi mancano la sua barba e le sue lentiggini, quando mi chiedono di me parlo sempre solo di lui per ovvi motivi di codipendenza.

chissà il 2011 che anno sarà per noi sfigatissime donne del cancro?

g.

venerdì 3 dicembre 2010

abc

A. mi scrive dal dodicesimo piano di un condominio a Belo Horizonte, lui che si chiama come mio fratello e viene dalla profonda pianura padana, dove i bar hanno altarini dedicati a de andrè e ogni strada racconta storie di amore fatto nella punto dei suoi genitori ascoltando i cccp.
Mi scrive da un materasso appoggiato sul pavimento, mi descrive i muri bianchi che lo racchiudono e le secchiate d'acqua che gli cadono addosso ogni giorno.
La sua lettera è difficile da leggere, cosi' densa e riflessiva.
Ma forse sono io che, complice la Sindrome, mi sento particolarmente gonfia di liquidi e malessere.
Nemmeno lo shopping on line, mio amico dei momenti piu' tetri, riesce a risollevare la mia condizone.

B. è in un periodo che non ha voglia di scrivere mail, di lui so solo che è a Toronto e i fortune cookies del take away cinese gli mandano messaggi molto chiari.

C. ha gli occhi verdi, come è sacrosanto che sia.
Suo padre li defini' a suo tempo "occhi da scoiattolo".
Suo padre è morto quando lui aveva quattro anni e mezzo, lasciando la moglie a crescere nove creature tra i due e i quattordici anni da sola. La mamma di C. si chiama Mary ed è una donna del cancro.
I giorni di C. sono cosi' contati che sembrano destinati ad andare avanti all'infinito.

Presto gli dedicherò una poesia di Bukowski che incita a fare le cose fino in fondo, dopodichè mi comprerò un paio di stivali portoghesi ecologici e brinderò al nuovo anno con una tisana al finocchio.

mercoledì 24 novembre 2010

veglia

Si chiamava Matteo e aveva una fassura tra i denti davanti che ci sarebbe potuto passare il rio delle amazzoni.
Avevo sedici anni e con la mia migliore amica ci piaceva andare alle inaguarazioni di una certa galleria d'arte di isola immobile, la cui proprietaria è sepolta in giardino insieme ai suoi cani.
Quando avevo otto anni mia mamma mi raccontò di come il "male misterioso" che aveva ucciso sua figlia fosse una cosa chiamata anoressia, facendomi notare che uno dei cani portava il suo stesso nome.
Io e la migliore amica avevamo bevuto un numero eccessivo di prosecchini (probabilmente non piu' di tre, beata gioventu') e ci aggiravamo con fare circospetto per il giardino, notando i ragazzi carini e le vecchiette ridicole.
Il nostro prof. di francese non mancava mai a queste occasioni, accompagnato dalla sua morosa del momento: quella sera era una bionda con la bocca piena di lucidalabbra rosa.
Matteo aveva diciannove anni e una giacca di pelle, nonostante facesse già caldo.
Stava parlando con un altro ragazzo ma si vedeva che era li' da solo.
Forse annusai quella sensazione di essere fuori luogo che avevamo in comune, fatto sta che mandai la migliore amica a pararlargli mentre io, vigliacca e meschina come al solito, mi nascondevo dietro ad una scultura fatta di specchi.
Pochi minuti piu' tardi io, Matteo e la migliore amica eravamo distesi nella stanza di Jackson Pollock, ubriachi e stupidi.
Da quella sera ogni volta che entro in quella stanza devo condividere con qualcuno l'anneddoto che raccontai a Matteo: "Lo sai che a Jackson Pollock mancava un dito della mano destra?".
Lui fu probabilmente colpito dalla mia conoscenza dell'arte moderna, perchè qualche ora piu' tardi, nel buio dell'unico cinema di Isola Immobile, mi mise il braccio intorno alle spalle.
Il giorno dopo mi offri' un caffè, e io lo accettai volentieri perchè mi vergognavo di dirgli che io il caffè non lo bevevo mai, che dopo non dormivo la notte, come i bambini.
Per il mese successivo io e Matteo ci incontrammo silenziosamente, anche se parlavamo per ore e ore seduti su un portone di quella che adesso è una galleria d'arte.
Anche lui era nato a luglio, il diciasette.

Ero a Barcellona quando sulla chat di facebook qualcuno mi scrisse che Matteo era morto, quasi un anno prima, di leucemia.
Io, che non sapevo cosa fare, scrissi una mail a sua madre, che proprio quel giorno compiva gli anni, per la prima volta senza Matteo. A Barcellona non mi divertii per niente e l'amica che ero andata a trovare mi disse che la mia malinconia la metteva di cattivo umore e non piaceva ai suoi amici. In Danimarca, in Isalnda e poi qui in Scozia, il pensiero di Matteo sali' con me in tutti gli aerei, i treni e le macchine che in quel mese e mezzo ospitarono me e il mio zaino troppo pesante.
Quando tornai in Italia andai ad una messa in onore di Matteo e quando il prete disse "scambiatevi un gesto di pace" io mi girai e davanti a me trovai Marco, l'unico suo amico che avessi mai conosciuto.
Lui e la migliore amica avevano avuto una piccolo flirt, giusto per solidarietà, e quando mi vide in quella chiesa scoppiò a ridere, e io con lui.
Il giorno dopo presi un caffè con la mamma di Matteo in un bar affacciato su una delle piazze piu' belle d'Europa, il cielo di un azzurro intenso e il mare a pochi passi.
"Il tempo era cosi' bello anche l'anno scorso, mentre Matteo si stava spegnendo in una camera d'ospedale".
Avrei voluto dirle che si era sbagliata, che io non meritavo la sua attenzione, che io e Matteo ci eravamo solo baciati su un portone per un mese e mezzo quattro anni prima, ma lei sapeva tutto di me, Matteo le aveva raccontato, e io non ci potevo credere di poter dare un pò di sollievo ad una madre che aveva appena perso un figlio.
Non me lo meritavo, un ruolo cosi' importante.

Vi potrei raccontare di come lui fosse il suo unico figlio, di quanto fossero legati, amici e confidenti oltre che madre e figlio.
Vi potrei dire che solo due settimane separavano Matteo dal suo ventitreesimo compleanno, e che quel diciasette luglio lui si sarebbe dovuto anche laureare.
Potrei forse cercare di spiegare a me stessa come questa cosa che mi è successa abbia cambiato la mia vita in tanti modi, il mio modo di guardare il mondo, cercando di usare anche gli occhi di Matteo.
Però la verità è che non ci capisco niente, di come funziona l'universo, la gente, il mio cervello.


G.

martedì 2 novembre 2010

News dall'undicesimo piano

Scrivo ora dall'undicesimo piano di una biblioteca che di piani in totale ne ha dodici.
Sono circondata da entrambe le parti da studenti asiatici più o meno concentrati sul proprio lavoro (la ragazza alla mia sinistra sfoglia nervosamente le pagine di un libro da ormai alcuni minuti mentre il ragazzo alla mia destra smanetta felicemente sul cellulare).
Io dal canto mio cazzeggio alla grande, perchè alla fine questo so fare e questo faccio.

Se vi dicessi che ho passato l'ultima mezz'ora a leggere la storia di Micol, figlia di Saul e moglie di David, che poi è il mio secondo nome, anche se mia madre non si è certo ispirata alla bibbia ma a quella snob di Micol Finzi Contini, supremo esempio di "te-la-prometto-ma-non-te-la-do", voi dovreste crederci, perchè (tristemente) corrisponde al vero.
La vita procede, mi dicono, e io sono qui a G. da quasi due mesi (!).
Ho una stanza grande, grandissima, con la moquette rossa e le tende a fiori, un tavolo rotondo e delle sedie mezze rotte che ho raccattato dalla strada, in pieno spirito radical-chic-da-studente-finto-squattrinato.
Il mio appartamento è una specie di pensionato color crema, abitato da figure di kafkiana memoria, tutte dotate di un senso dell'igiene molto discutibile.
La padrona di casa è una vecchietta cipriota, mrs. anastasiou, che vive al numero 45 della stessa strada in una casetta dal giardino fiorito che suo marito comprò nel 1960, quando questa zona radical-chic-da-finto-studente-squattrinato era ben lontana dalla gentrificazione.

Al numero 29, nella casa giusto accanto alla mia, abita una simpatica combriccola di studenti vegani, o vegetariani, o semplicemente un pò frikkettoni, ma non troppo.
Alcuni di loro si dedicano alla dieta crudista, altri organizzano gruppi di acquisto solidale o serate improv o workshop per i figli dei detenuti.
Tra le stanze di questa colorata comune si aggira però un intruso più vicino ai 30 che ai 20 anni, che lavora dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 5 come pattern recognizer, anche se io per prenderlo in giro amo chiamarlo it guy.
Questo losco figuro è irlandese, e come tutti gli irlandesi ha 6 fratelli e 3 sorelle.
I suoi capelli non sono rossi ma neri e il suo secondo nome è David, come il marito di Micol.
(Solo io posso trovare similitudini del genere, tanto vale ammeterlo).

Io e il vicino di cui sto parlando fino ad un mese fa eravamo più o meno estranei, ci eravamo scambiati due parole in croce e nemmeno particolarmente profonde.
Poi il destino ci fece incontrare per caso ad un concerto di una band sconosciuta ad entrambi e non chiedetemi come o perchè, ma da quel giorno di inizio ottobre siamo più o meno inseparabili.

Io ancora fatico a credere che quello che fino a qualche mese fa stavo semplicemente imamginando ora sta succedendo davvero.
E non mi riferisco solamente al frangente amoroso, ma all'intera idea di avere una vita, in un paese lontano anni luce dall'isola immobile.
Conoscere gente, fare cose (senza esagerare, eh, non sia mai che io rinunci alla mia pigrizia) e vedere posti.

E' una strana sensazione, ma credo proprio di potermici abituare.

La vostra sempre meno teen problematica
G.

mercoledì 25 agosto 2010

gli anni passano, i tardo adolescenti imbiancano.

tra qualche giorno e' settembre.
mi trovo adesso nello studiolo di una casa che forse abitero', forse no.
al momento ci vivono due gemelli scozzesi nati il mio stesso giorno, sei anni prima.
sono scozzesi perche' qui siamo in scozia.

inizio quasi a credere che la mia adolescenza sia, TANANNANANA, finita.

e' successo che ho vissuto sei mesi in un paese dell'europa dell'est, e mi sono pure divertita.
ho trovato una migliore amica tedesca di origine polacca, toro ascendente capricorno, che mi rifaceva il letto, mi fermava quando stavo per mettere le dita bagnate nella presa della corrente e mi diceva "hai rotto il cazzo" quando avevo piu' di un giorno storto.
con lei abbiamo girato l'europa in autostop, abbiamo dormito in divani, letti, squat, posti belli, bellissimi e cosi' cosi'.

e' successo che un povero cristo, sagittario ascendente pesci, spagnolo di barajas, l'aereoporto di madrid, abbia avuto la malaugurata idea di innamorarsi un pochino di me.
poco, eh, ma quel tanto che basta a riscaldare un inverno dell'est europa.
con lui siamo stati zitti e abbiamo parlato, abbiamo fatto l'amore discretamente, senza dare troppo nell'occhio.
non abbiamo ancora deciso se stiamo insieme o no, forse sono io che non ho deciso, in effetti.


poi e' successo che per due mesi e mezzo ho girato l'europa da sola, piu' o meno, con in spalla uno zaino troppo pesante.
ho visitato amici vari e me ne sono fatta un paio di nuovi, ho vissuto quasi un mese in islanda, per vedere l'effetto he fa tornare nel posto in cui sei stata quasi felice per la prima volta, forse.

ho distrutto le due paia di scarpe con le quali ero partita, giocando a calcio con giovani anarchici, camminando per ore sotto pioggie battenti.


ora ho molte storie da raccontare anchese poche hanno un inizio e una fine, degli occhiali da nerd che non so come io abbia potuto vivere senza, i capelli tagliati corti col rasoio in una cucina a berlino e la convinzione che anche se il mondo sta andando a rotoli, la razza umana e' sempre la stessa, e anche di questi tempi nel ferry da calais a dover ci si puo' innamorare.