venerdì 3 dicembre 2010

abc

A. mi scrive dal dodicesimo piano di un condominio a Belo Horizonte, lui che si chiama come mio fratello e viene dalla profonda pianura padana, dove i bar hanno altarini dedicati a de andrè e ogni strada racconta storie di amore fatto nella punto dei suoi genitori ascoltando i cccp.
Mi scrive da un materasso appoggiato sul pavimento, mi descrive i muri bianchi che lo racchiudono e le secchiate d'acqua che gli cadono addosso ogni giorno.
La sua lettera è difficile da leggere, cosi' densa e riflessiva.
Ma forse sono io che, complice la Sindrome, mi sento particolarmente gonfia di liquidi e malessere.
Nemmeno lo shopping on line, mio amico dei momenti piu' tetri, riesce a risollevare la mia condizone.

B. è in un periodo che non ha voglia di scrivere mail, di lui so solo che è a Toronto e i fortune cookies del take away cinese gli mandano messaggi molto chiari.

C. ha gli occhi verdi, come è sacrosanto che sia.
Suo padre li defini' a suo tempo "occhi da scoiattolo".
Suo padre è morto quando lui aveva quattro anni e mezzo, lasciando la moglie a crescere nove creature tra i due e i quattordici anni da sola. La mamma di C. si chiama Mary ed è una donna del cancro.
I giorni di C. sono cosi' contati che sembrano destinati ad andare avanti all'infinito.

Presto gli dedicherò una poesia di Bukowski che incita a fare le cose fino in fondo, dopodichè mi comprerò un paio di stivali portoghesi ecologici e brinderò al nuovo anno con una tisana al finocchio.

Nessun commento:

Posta un commento